Quel disperato bisogno di tornare indietro

Quante cose possiamo imparare da Sanremo

Anche quest’anno non siamo stati in grado di parlare di altro per cinque giorni. Criticato, a tratti lento e noioso, pieno di musica che non ci convince a fronte di qualcosa di bello: Sanremo ci rapisce, nonostante tutto. E visto che a noi farci rapire da questa bolla un po’ ci piace, ci entriamo dentro con tutte le scarpe e commentiamo come se non ci fosse un domani.

Tanta cultura se ne tiene alla larga, io invece continuo a pensare che Sanremo sia un’ottima occasione annuale per leggere il nostro paese. Non c’è modo più semplice per capirne le tendenze politiche, culturali e di costume. Non c’è occasione più ghiotta, per un giornalista soprattutto, per approfondire i fenomeni sociali del momento e analizzarli divertendosi.

Negli ultimi anni il Festival è tornato al centro del mainstream, se ne parla ovunque e a tutti i livelli. Accade dopo un periodo di insuccesso, cui il Festival ha saputo rispondere senza neanche sapere bene come. Sta di fatto che è tornato centrale per le nostre vite e sa tenere incollate alla tv tutte le generazioni. Principalmente noi, i millennials, i figli degli anni ’90 che nel Festival di Sanremo stanno ritrovando tutto quello che avevano perso. Abbiamo sostituito i nostri genitori, relegati ad un quarto d’ora di Albano/Ranieri/Morandi in cui pure ci infiliamo con prepotenza sentendoli anche nostri. Siamo lì, incollati e speranzosi di ritrovarci e di riavere indietro tutto quello che il secondo decennio del 2000 ci ha strappato.

Va a finire che Sanremo ci accontenta, rendendoci ancora più attaccati alla chermesse. Proprio lì, tra un Tranqui Funky e una canottiera imbarazzante di Paola&Chiara, nasce la riflessione più profonda su quel che sta accadendo al costume italiano. Sembra, ogni giorno di più, che andare avanti sia complesso. La nostra pare essere la società che fa a cazzotti con il progresso perchè ci si sente stretto e in cui nasce, irrefrenabile, la necessità di fare un passo indietro. Va a finire che scopre anche che quel passo indietro funziona perchè sembra rimetterci a posto, farci respirare all’improvviso l’odore che ci manca più di tutto: quello degli anni più facili, della spensieratezza, dell’economia buona e delle trasmissioni coinvolgenti. Ritorniamo di botto al tempo in cui non era necessario stare puntigliosamente attenti alle parole e alle loro finali, in cui uomini e donne erano un po’ più in pace, in cui l’assenza dei social non ci faceva pensare al futuro, a quello che eravamo e che sognavamo di essere. Tempi diversi, troppo spesso proclamati come i più belli senza pensare che quel che li rende meravigliosi è forse proprio il fatto che siano passati.

L’ultimo Festival di Sanremo ci ha messi a contatto diretto con quel che proviamo quando possiamo dare libero sfogo ad una nostalgia che diventa la rivalsa dell’oggi. Poter ballare sulle note degli Articolo31, citare il FestivalBar ma anche riscoprire l’eleganza di Gianni Morandi che canta “Fatti mandare dalla mamma” ci suggerisce che dovremmo soffermarci su questa necessità di tornare indietro e farne tesoro, che abbiamo esagerato nel cercare il progresso mettendo da parte quello che c’era, che senza analizzare quel che abbiamo fatto difficilmente faremo pace con l’oggi e anche con il domani.

Il ritorno ai tempo d’oro, ai suoi sound e alle sue parole, ai suoi personaggi e ai suoi valori, si stanno affermando come lo strumento base per ricalibrare la tendenza al progresso che in questi anni era diventata quasi ossessione. Ritrovare la spensieratezza di Paola&Chiara, dei loro balletti con i ballerini scongelati dal 2000, non ci permette di pensare a patriarcato, sessismo e profondità dei temi quanto avremmo fatto se quel balletto fosse nato oggi. Improvvisamente la nostra mente torna quella libera di un tempo, conscia delle battaglie dell’oggi ma pregna della leggerezza che forse ci serve per affrontarle meglio. Quel che si intende dire, in buona sostanza, è che il ritrovo del passato ci può aiutare ad abbracciare l’oggi con lo spirito giusto, a ricominciare da dove ci siamo persi e andare avanti, questa volta per davvero.

Dagli anni ’90 ad oggi i passi avanti sono stati una marea: siamo attenti a temi che un tempo si trascuravano, siamo donne e uomini più consapevoli, più liberi dai tabù. Oggi sul palco di Sanremo ci si bacia liberamente, si parla di sesso e depressione, si piange e si ride, si racconta di donne libere e di libertà necessaria. Lo si fa nel modo sbagliato quando si calca la mano, quando la politica prende il sopravvento e si dimenticano i contenuti. Allora ad aggiustare le cose ci pensano gli anni ’90, i loro balletti ricalibrano la discussione e ci danno la misura del tempo che passa, ci suggeriscono che possiamo emanciparci anche ballando con mossette sciocche, che possiamo procedere senza ingessarci.

JAx e Dj Jad, per esempio, sono saliti sul palco di Sanremo 2023 con lo stesso scratch dei ’90, urlando a gran voce che dal passato hanno imparato che si può fare tutto e di più, che si può tornare indietro solo per migliorare le cose. Allora probabilmente a Sanremo, quest’anno, abbiamo imparato che al progresso saremo pronti quanto faremo tesoro di quel che siamo stati, quando non esageriamo calcando la mano, quando ripartiamo dal bello che abbiamo avuto per creare cose nuove, diverse, belle pure quelle.

Su questo Festival da dire, come ogni anno, c’era tantissimo. Dai monologhi alla musica si è analizzato ogni particolare, rifarlo sembrava ridondante. Allora mi sono soffermata su un dettaglio che sento collegato ad ognuno di quei particolati di cui si è già tanto parlato. L’augurio che viene spontaneo, mentre già proviamo nostalgia per le lunghe serate di commenti, è che da domani riabbracceremo la semplicità di ieri per costruire la vera avanguardia di oggi.

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