Una settimana fa finiva Sanremo. Se ne è parlato tantissimo, l’espressione più sentita è stata “il festival dei record”. Al di là delle canzonette che dalla testa fanno fatica ad andare via, mi sono soffermata in questi giorni a pensare veramente a questa annata del Festival. Mi sono chiesta come mai questa edizione, oggettivamente poco brillante e con musica che un pochino poteva dare di più, si sia affermata come quella dei record.
Una risposta c’è, e se ne parlo qui e perchè è tutta negli strumenti che non smettiamo mai ma proprio mai di maneggiare. Gli strumenti di comunicazione, tutti indistintamente, sono stati i veri protagonisti di questa edizione del Festival di Sanremo. Sono loro che hanno fatto numeri da record: non Amadeus, non le melodie, non quei tanti monologhi di cui salviamo solo un paio, non i vestiti nè gli ospiti. A vincere, a fare record, quest’anno sono stati: twitter, Fantasanremo, Instagram e, incredibile ma vero, anche Facebook.
Più volte, durante le serate di Sanremo, di cui sono da sempre fedelissima spettatrice e fan, mi sono resa conto di non essere in grado di seguire il festival mollando il telefono. Caricavo l’iphone dalle 19,30, alle 21 era al 100% e io ero al 100% connessa sul mio profilo twitter, sul gruppo d’ascolto facebook della mia città, sul circoletto del Fantasanremo su instagram. Ho riso tantissimo, ho commentato senza sosta, non ho mai smesso. A tracciare una linea a una settimana di distanza posso affermare di aver mollato il telefono in pochissimi momenti, contati sulle dita di una mano: Mahmood e Blanco che si esibiscono, qualche canzone della serata cover (saltavo disconnessa con Jova e Gianni, sia messo agli atti), il monologo di Drusilla, le parole iniziali della Ferilli, il duetto comico della Giannetta e Lastrico. Poi nulla, ricordo solo i tweet, i commenti, le risate, tante risate.
Siamo stati noi, generazione cresciuta a pane e essenza di anni ‘80 e ‘90, nostalgici molto più di quanto si pensi, a scegliere il modo in cui vivere questo Sanremo. Avevamo bisogno di fare qualcosa di davvero divertente, di farlo tutti insieme e di cambiare le sorti di qualcosa che altrimenti non ci avrebbe dato l’arte che meritavamo. Siamo diventati, quindi, i veri padroni dei nostri mezzi. Abbiamo saputo veicolare messaggi nel modo migliore possibile. Il clima sui social, nei giorni sanremesi, non è mai stato teso. La gara era divertente e leale, gli scambi erano crudi ma mai oltre i limiti (non pensate agli haters, quelli non fanno testo e non sono mai padroni di nulla), lo scambio ci ha reso community. Eravamo all’Ariston molto più di quelli in poltrona.
Noi, padroni dei mezzi di comunicazioni, sapevamo molto di più di chi su quel palco c’era perchè di comunicazione è teoricamente esperto.
E quindi ho pensato che qualcosa di strano in tutto questo c’è, qualcosa che non stavamo considerando mentre affermavamo con convinzione di non poter fare ameno di Sanremo. Non è proprio di Sanremo che non possiamo fare a meno, ma del posto nel mondo italiano che nella settimana di Sanremo possiamo occupare.
Quel che ho capito, allora, è che i mezzi di comunicazione, i social prima di tutto, diventano lo strumento migliore per fa si che il pubblico diventi l’unico, vero protagonista di una trasmissione televisiva. Gli artisti hanno cominciato a fare ciò che noi, dall’alto dei nostri smartphone, gli chiedevamo a gran voce. Amadeus ha dovuto adeguarsi alle nostre bizze, l’ultimo classificato è diventato una star perchè noi su twitter lo abbiamo deciso e lui ci ha seguiti. Con gli esempi si potrebbe continuare all’infinito e si arriverebbe sempre alla stessa conclusione. Il modo di comunicare è cambiato, la televisione non è più ciò che vediamo ma il modo in cui decidiamo di vederlo.
Oggi, in definitiva, il successo di un progetto, che sia televisivo o meno, non dipende dal progetto in sè ma da ciò che attorno ad esso nasce. La scelta vincente di Sanremo è stata alimentare il suo contorno, bearsi di ciò che i millennials hanno scelto di costruire attorno ad un fenomeno di costume che li tiene ancorati a tutto ciò che amano follemente.
Come nelle migliori inchieste a risparmio energetico, questi dati dicono moltissimo su questo Festival ma, più in generale, sulla direzione in cui stanno andando la televisione e i social.
I veri vincitori di Sanremo, quest’anno, siamo stati noi. Noi che siamo pubblico, noi che abbiamo scelto di utilizzare davvero i mezzi che abbiamo a disposizione e di farlo nel migliore dei modi. Noi che oggi potremmo insegnare agli autori di Sanremo come si veicola davvero un messaggio, come si conquistano certi ascolti, come si attira l’attenzione di tutti quelli che hanno, nell’ordine, fatto accesso ai loro account social, letto, poi acceso la tv. Lo share di Sanremo, da record, era quindi composto da: pubblico abituale più pubblico proattivo del mondo tv e social più pubblico coinvolto da questi ultimi. Riuscite a intravedere chi ha fatto il record per davvero?
Cosa si potrebbe imparare da tutto questo? Forse che oggi la tv da sola non funziona. Non funziona Sanremo da solo, non funzionano i più noti programmi da soli. La tv funziona perchè il suo pubblico decide di farla funzionare, forse a molti va bene così ma forse vuol dire anche che sta scegliendo di non esistere più come strumento a sè. Se va bene a lei forse va bene anche a noi, che ne diventeremo sempre più i padroni.
L’impressione è che, però, se domani ci tolgono Sanremo noi Sanremo ce lo possiamo costruire da soli. E noi, invece, in fondo in fondo, abbiamo bisogno che ci diano qualche motivo in più per ascoltarli prendendo il telefono un po’ meno. Vinceremmo tutti e, a margine, saremmo lo stesso molto divertenti su twitter.
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