Se un libro è una Rivoluzione

Divergenze, un racconto, una storia da scoprire

Fare editoria vuol dire anche saper vendere un prodotto. E’ vero, è brutto parlare di libri come semplici “prodotti”. Ma probabilmente la bravura di una casa editrice sta anche, e soprattutto, nel far capire a chiunque e nel modo più semplice possibile che quello che vende non è un prodotto, ma IL prodotto. Un libro è qualcosa dal valore inestimabile e se la casa editrice che lo vende sa trattarlo come tale, allora anche il lettore ne percepirà il valore, anche se non è un lettore, anche se è qualcuno che vede un libro per la prima volta.

Lo so, il primo paragrafo di questo articolo è già fonte di mille “Ma ancora ci credi in queste cose?”, “Libri inestimabili nel 2019? Ma se sono tutti mercenari!” e innumerevoli bla bla bla. E invece ho voglia di smentire le chiacchiere, perchè qualche casa editrice me lo sta permettendo. La storia di bella editoria di cui parlo oggi nasce da una casualità e ad una casualità ritorna.

La casa editrice si chiama Divergenze, me ne ha parlato un’amica che da loro ha acquistato un libro durante una fiera letteraria. Mi ha detto, condividendo con me l’entusiasmo per il fatto, di come questi editori si fossero mostrati disponibili, aperti a collaborazioni e al confronto e di quanto belli fossero i loro testi. Insomma, tutto ciò che ad oggi è insolito e strano. Stupita, ho cercato Divergenze su Google e sui social: è bastata qualche piacevolissima mail per scoprire un mondo e, poco dopo, un libro davvero bello.

Il libro si chiama “La Rivoluzione, forse domani” ed è, manco a dirlo, frutto di una casualità. E’ la riproposizione di un manoscritto trovato ad un mercatino, una storia d’amore e di resistenza, intensa seppur breve, colma di sfaccettature da cercare. Il libro però, su cui tra poco tornerò, è il fulcro di un mondo che gli ruota attorno. Questo mondo è Divergenze e, essendo realmente da scoprire, scelgo di parlarne un po’ di più prima di passare al testo.

Divergenze attira l’attenzione per la cura che sceglie di mettere in quel che fa e per come lo fa. Sulla home-page del sito c’è scritto: “Il lavoro della casa editrice è incentrato sulla ricerca della qualità dei testi ma anche sul pregio dell’oggetto-libro in sé, dei suoi materiali. “

Pregio, valore, lavoro, qualità: la percepite la differenza con le solite storie? Alle spalle, come se non bastasse, una gentilezza e un ufficio stampa di alto livello. Ho ricevuto risposte celeri e complete, grazie alle quali ho scoperto, e poi constatato concretamente, che Divergenze non opera a scopo di lucro, ma per amore del libro in quanto oggetto prezioso. I contenuti sono scelti con acume critico e gusto elevato, sono corredati da prefazioni e postfazioni illuminanti, impegnative ma non noiose. La cura arriva persino al materiale utilizzato: “tutti i nostri libri sono rilegati con una procedura antica, la legatura a filo di refe manuale, che una legatoria etrusca esegue con tempi giurassici ma appropriati, copertinati con un cartoncino Old Mill 300 e la carta è la più preziosa reperibile in commercio: riciclata, per evitare deforestazioni, purificata ed avoriata, così spessa che i lettori più volte credono di voltarne due mentre leggono (grammatura 140, praticamente incorruttibile dal tempo).”, come loro mi hanno scritto in una mail. A disposizione del lettore, non soltanto il testo da leggere, ma anche un corredo di recensioni, opinioni, contatti per saperne di più e presentazioni che ne esaltano il valore.

La veste grafica è studiata nel dettaglio, le copertine semplici e i colori scelti in base al contenuto del libro. Non sfugge nulla, soprattutto l’amore per il libro stesso. “La Rivoluzione, forse domani” è, lapalissianamente, un libricino rosso, non molto grande e piacevole da sfogliare e leggere. Veste grafica e formato ricordano un po’ gli Adelphi, se non fosse per lo spessore e la qualità della carta che fa davvero la differenza.

Quando ho aperto per la prima volta (si, è un libro che merita più riletture) “La Rivoluzione, forse domani”, ho trovato ciò che si agogna all’inizio di ogni libro: una prefazione che si fa leggere per intero! Più che un commento o un semplice svolazzo retorico per invogliare a leggere, la prefazione a cura di Chiara Solerio ci introduce in un mondo misterioso e incredibile. Pagine di informazioni, di studi filologici, documenti e curiosità che portano dritte al cuore della storia, permettendo di gustarla a pieno.

Rosa Mangini è l’autrice del racconto “La Rivoluzione, forse domani”. Di lei, come ci dice la Solerio, “non esistono certezze oltre al mestiere, il sesso e il manoscritto, vargato a china su fogli protocollato datati, uno per uno, dal 7 al 16 Febbraio 1941.” Un’autrice sconosciuta, di cui sembra possiamo sapere poco, ma man mano scopriamo tanto. Ogni testo rivela gran parte di chi c’è dietro e della Mangini, che non sappiamo chi sia, scopriamo poi il coraggio di aver scritto un testo antifascista, con la mano sinistra(“[…]era mancina, mancina pura, in un periodo nel quale i mancini venivano corretti, obbligati a scrivere con la destra”), nel momento storico più delicato.

La vicenda raccontata si svolge tra Zenevredo e Costa de’ Nobili, nel basso padano. “La terra è l’unica bandiera a cui s’appartiene”, scrive la Mangini. L’ambientazione è protagonista tanto quanto la vicenda, perchè se ne scorge l’amore e l’attaccamento, di chi vive la vicenda e di chi la scrive. I modi di parlare, di vivere la famiglia e muoversi tra le campagne e la città arrivano definiti e chiari anche a chi, come me, viene da tutt’altra realtà e linguaggio. I protagonisti sono giovani che, con le loro perplessità e vicende familiari, credono in una rivoluzione possibile. Ci credono nonostante la loro storia contemporanea smorzi le speranze, le idee, la voglia di agire indipendentemente. Ma quelli della Mangini sono giovani capaci di sognare e pensare nonostante tutto, soprattutto sono giovani capaci di amare.

In questo contesto nasce infatti la storia d’amore che per intero si intreccia alle vicende del libro: quella tra Michele e Melania. Una storia dolce ma mai smielata, profonda perchè colma di contenuti, che cresce perchè i protagonisti sanno insegnarsi tanto l’un l’altro. I dialoghi, le azioni, le battute e gli scambi tra generazioni e idee sono linfa di un testo che Divergenze racconta a fondo sul suo sito, spiega in prefazione e postfazione ma che, in realtà, si scopre davvero solo leggendolo e rileggendolo. Entrare nella vicenda, ritrovarsi schierati con una o con l’altra posizione, sentirsi diffidenti o critici nei confronti di qualche personaggio e, poi, invidiare e mutuare la carica di ragazzi che non vogliono arrendersi sono solo alcuni “effetti collaterali” di questa lettura.

Il titolo del testo è emblematico, sebbene lo si capisca realmente solo a margine della lettura e anche grazie alla precisa postfazione di Marco Vagnozzi. “La Rivoluzione, forse domani” è simbolo di un cambiamento possibile, riferito a un tempo che è stato, che per fortuna non c’è più ma che rimane attuale e attuabile a tanta contemporaneità. Non è la storia che si racconta, ma il modo in cui gli uomini vi si pongono di fronte. Ed è forse questo che affascina di più, che regala un punto di vista che non pensavamo esistesse. Alcune riflessioni, esplicite e che dal testo emergono, si adattano al contesto storico e alle vicende personali, risultando quanto mai universali. “Michele pensò a quanto il bene è vicino al male, anche per questo s’ha da lavorare di vanga e non di randello. La vanga cura, previene, compatta, rinzolla; il manganello offende, abbatte, rovina.”

“L’unica guerra vinta è quella che si smette di combattere”, pensa Melania a metà de “La Rivoluzione, forse domani”. A me sembra che questo testo e la sua casa editrice siano un bel simbolo di resistenza, di non arrendevolezza, di difesa di un ideale. Quello politico nel racconto, quello culturale nella scelta di dedicare così tanto ad un libro che, forse forse, può fare una rivoluzione.

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