La terza pagina

“L’idea seminata nel giornale, più che nel libro, o prima o poi gemina e produce il suo frutto. E non v’è forse spirito ottuso di lettore, in cui l’insistenza di chi scrive non riesca a produrre una qualche fenditura, ad aprire un piccolo varco.” Le parole di un saggio su D’Annunzio cronachista, scritte da Dalila Tassone, risultano utili ad introdurre un tema oggi complesso ma forse poco affrontato.

Si potrebbe dire che le riflessioni su giornalismo e cultura oggi sono tante, ma così non è. Se ne parla poco, quasi nulla. Il titolo di questo articolo, non a caso il terzo di questo blog, è dedicato a quella che in gergo viene definita la “terza pagina” di un giornale.

Agli albori la terza pagina era la parte di quotidiano o periodico affidata a scrittori, noti o emergenti, ed utilizzata per diffondere le opere letterarie degli stessi. La terza pagina, come riportato nell’Enciclopedia Italiana, nasce tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. La “colonna di risvolto” della terza pagina, si legge nell’enciclopedia, “fu una delle più importanti innovazioni del giornalismo italiano, che chiamò a collaborare ai quotidiani anche i maggiori scrittori e li mise in contatto con il pubblico.”

La terza pagina, in buona sostanza, forniva ai lettori quel bagaglio culturale fino ad allora poco fruibile, permetteva ai letterati un guadagno sicuro e, con il passare del tempo, diveniva emblema di un nuovo modo di fare notizia. Una diversa fotografia della realtà, fatta tramite un racconto, un romanzo d’appendice e, con il passare del tempo, con quella che venne definita la “cronaca mondana”. La terza pagina divenne quindi un modo nuovo di fare giornalismo e, allo stesso tempo, di ampliarne la concezione.

Con il passare del tempo l’idea e la costruzione della terza pagina sono mutati continuamente. È ovvio che la storia della terza pagina sia molto ampia ma l’intento, più che definirne la genesi, è quello di arrivare ai giorni nostri. Oggi la terza pagina non esiste più. Non c’è più la struttura fissa di elzeviro, articolo di taglio e articolo di varietà. Oggi la terza pagina è diventata un insieme di pagine, per lo più raccolte nella categoria “cultura e spettacolo”.

Agli albori la terza pagina, ciò che insomma oggi chiamiamo giornalismo culturale, rivoluzionò il mondo della notizia. Ampliò il pubblico dei giornali, lo educò, lo fece appassionare ad aspetti nuovi della realtà. E ora? Esiste ancora il giornalismo culturale? E’ ancora quella parte di notizia che cambia e orienta il pensiero culturale dei lettori?

Alla domanda circa la sua esistenza la risposta non può che essere affermativa, il giornalismo culturale esiste, e come se esiste! Ma funziona? Le pagine di cultura e spettacolo le sfogliano tutti, poco ma sicuro. Ma chi le legge davvero?

Un giovane giornalista che volesse scrivere di cultura sa solo una cosa: non sa da dove cominciare. Questo non vuol dire che oggi il giornalismo culturale non si faccia. Di prodotti di qualità, anche su carta stampata, ce ne sono. Basti pensare a La Lettura, Tutto Libri o Il Domenicale, ma non si può negare che sia un settore in crisi. Insomma, il giornalismo culturale c’è, ma quanta voglia c’è di renderlo fruibile, nuovo, interessante e bello davvero? Quanto investimento c’è su un giornalismo che, anche con pochi like, potrebbe scuotere un pò di menti e coscienze? Quanto spazio si dà a nuove firme che potrebbero dare imput di critica o, semplicemente, puntare i riflettori su qualcosa di nuovo?

È vero che i tempi cambiano e i modi di fare, e far girare, la cultura sono tanti, nuovi e diversi. Ma il giornalismo culturale probabilmente è altra cosa e investirvi di più, in termini economici e di innovazione, potrebbe essere cruciale per la crescita del giornalismo, soprattutto in Italia.

A tal proposito indubbiamente interessante e di ispirazione sono le parole di Nicola Lagioia, pronunciate durante la sua lectio al festival del giornalismo culturale di Urbino, nel 2018. Accompagnando ad una profonda riflessione una serie di consigli indirizzati agli operatori del settore, lo scrittore ha sottolineato proprio l’esigenza di rinnovamento che permetterebbe al giornalismo culturale non solo di rimanere a galla, ma di divenire fiore all’occhiello del mondo dell’informazione. Il ritorno del reportage, lo spazio alle nuove (magari anche anticonformiste) firme, la reale critica e presa di posizione potrebbero essere ingredienti fondamentali di rinascita. I nuovi mezzi sono certamente un ostacolo, ma il giornalismo, quello ben fatto, se vuole sa trasformarli in armi utili e propositive.

Insomma, la terza pagina (nonostante all’inizio dell’articolo forse qualcuno si sia chiesto cosa fosse) non è morta. E’ vivissima, potenzialmente più viva che mai. Ma forse tocca agire, rinnovare il modo di fare giornalismo culturale, ritornare alla terza pagina di un tempo, che faceva sentire vivi giornalisti e scrittori e catturava letteralmente i lettori.

L’intento di questo articolo è solo aprire un varco, lanciare qualche domanda e dare inizio ad un tour di scoperta. Chi fa oggi giornalismo culturale? Come lo fa? Dove? E, soprattutto, perchè? La critica alla poca voglia di rinnovamento c’è, ma se scoprissimo che qualcosa si sta muovendo? Come si dice oggi…stay tuned!

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